Una storia che comincia nel 1979 dall’esperienza dei mercatini studenteschi dell’usato e passa per la progressiva trasformazione di quell’idea in un progetto imprenditoriale. Come in ogni storia che si rispetti, tutto comincia l’anno prima, racconta Edoardo Scioscia: «Nel ‘78 quando ci eravamo conosciuti tra noi, futuri soci, facendo a settembre i mercatini dell’usato scolastico. Si montavano gli stand con le cassette di frutta, rigorosamente di pere argentine perché erano quelle che avevano il legno e la struttura più robusta. Io frequentavo giurisprudenza, ma mi occupavo per conto di Unicopli di vendere i libri scolastici nuovi negli stand dei libri usati. Ci siamo conosciuti così: io facevo il nuovo, loro l’usato».
«Nell’inverno, smontato il mercatino, alla sera quando ci si ritrovava, c’era sempre un’idea nelle nostre conversazioni. Come trasformare questa attività stagionale in una più stabile? Offrendo al pubblico degli studenti un servizio che non coincidesse solo con l’apertura delle scuole, ma partisse prima e durasse per tutti i 12 mesi dell’anno. Venne così rilevata una vecchia panetteria con forno sui Navigli, abitavamo tutti in quella zona e la scelta fu quasi inevitabile: il primo Libraccio aprì nel ’79.Il nome venne fuori, anche quello, in una serata davanti a una birra: qualcuno propose Libraccio e nacque così l’insegna. Si pose subito il problema di destagionalizzare l’attività e quindi di raccogliere anche i libri usati di narrativa o di saggistica. Quanto il mercato di varia offriva in termini di usato o di giacenze di magazzino. In embrione, in quell’idea c’erano già tutti gli elementi che si sono sviluppati in questi 40 anni».
Io studiavo giurisprudenza, lavoravo in quelle che venivano chiamate radio libere e per la casa editrice Mazzotta. Tiziano ‘Tiko’ Ticozzelli viaggiava per il mondo, Piero Fiecther studiava medicina, Silvio Parodi tirava di scherma e insegnava nuoto. Ognuno di noi faceva anche altro e aveva le sue passioni. In libreria ci davamo i turni, e il negozio andava avanti. Solo nel 1982, dopo alcune esperienze che avevo fatto in altri settori – e il servizio militare – entrai nella società. Vi entrai in occasione di una delle prime tappe importanti nella storia del Libraccio. Nell’anno, anzi nell’estate dei mondiali, decidemmo – creando una società con i tre soci che avevano avviato l’attività – di rilevare una vecchia libreria di Monza: la Libreria di cultura popolare, con i suoi 45 mq di negozio. L’altro fatto importante fu che Zanichelli ci aveva adocchiati e ci aveva «aperto il conto», perché vedeva con interesse i numeri che riuscivano a fare con il nuovo. Questi furono i due accadimenti che ci posero davanti alla decisione di dar vita a una struttura più organizzata e più solida.
Poi se ne verificò un terzo. Davanti alla libreria c’era un negozio molto più grande, ristrutturato da poco ma con le vetrine sempre chiuse. Contattammo la proprietà, ma il prezzo che chiedeva ci appariva pazzesco: 36 milioni di lire all’anno rispetto alle 700 mila lire al mese che pagavamo d’affitto. Lo spazio era però interessante, non solo per le vetrine, la posizione centrale, ma anche per la superficie: circa 500 mq. Decidemmo di rischiare anche perché ci potevamo fare il magazzino – e lo destinammo a questa funzione fin al 1990 – per i tre negozi e per gli altri che via via avremmo aperto.
Avevamo la struttura logistica, il polmone che ci permise di aprire a Genova, Bergamo e Brescia; potevano cominciare a fare economie di scala anche sul nuovo come grossisti. Poi, nel ’90, vedendo che la nostra crescita era importante e continua, decidemmo di comprare un capannone alle porte di Monza. Una struttura a cui negli anni si sono aggiunte altre due aree logistiche, che da 1.500 metri quadrati ci portano oggi a gestirne quasi 6 mila per l’attività di ingrosso e un polmone dove stoccare i libri per le nostre librerie.
Via via è cresciuta la consapevolezza che dovevamo sempre più destagionalizzarci rispetto alla scolastica. Scolastica che a sua volta trovava – tra gli anni Ottanta e Novanta – sbocchi sempre più importanti nella Gdo. C’era bisogno di prodotti e attività che resistessero nel tempo e fossero redditizi anche nei periodi non scolastici. Dovevamo aumentare l’assortimento e la qualità del servizio e della proposta. Questo voleva dire scolastica ma anche varia, libri nuovi e libri usati, libri messi fuori catalogo degli editori e libri provenienti dalle librerie di casa che venivano dismesse; e quindi modernariato: di libri ma anche di vinili o fumetti. Pubblichiamo due volte l’anno un catalogo di libri di modernariato, molto apprezzato dagli appassionati. Vuol dire aggiungere prodotti di buona redditività e sinergici alla lettura: la musica, il cinema. Il tutto sempre nella filosofia del nuovo/usato. Poi la cartoleria – in anni in cui abbiamo assistito alla crisi delle piccole cartolerie – dove non si può praticare la stessa filosofia del nuovo/usato, ma dove si può proporre, come abbiamo fatto, una linea low cost di prodotti «a marchio»: diari, quaderni, agende, zaini. Rappresenta oggi il 7% del fatturato del gruppo!